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Dott. Marco Ammoscato

Andrà tutto bene? Le profezie che si autoavverano

Updated: Sep 30, 2021

Nella primavera del 2020, travolti dall’emergenza sanitaria e dall’esperienza del lockdown, il pensiero comune è stato “Andrà tutto bene!”, con l’idea che ne saremmo usciti migliori.

Niente di più corretto e fondamentale per introdursi al cambiamento e ad esiti positivi.

Incontrando, nella pratica clinica, persone con disturbi d’ansia e con problematiche relazionali capita, invece, molto spesso di ritrovare un pensiero opposto, producendo un meccanismo di perpetuazione del problema stesso, che, attraverso il processo terapeutico, di consapevolezza e auto responsabilizzazione, contribuisce a fornire in maniera semplice ed intuitiva una spiegazione della genesi del problema, il suo mantenimento, ma che può essere motore del cambiamento, attraverso una sua inversione in termini positivi: la profezia che si autoavvera.


La “profezia” riguarda generalmente una convinzione, una credenza, su di sé o sugli altri, ritenuta vera o assai probabile che frequentemente ed in diverse circostanze si manifesta nella realtà. Il fatto che accada realmente tende a confermare che la credenza che l’ha generata sia corretta.

Facciamo un esempio: una persona ritiene, ha la convinzione di essere incompetente in uno specifico compito, di avere uno specifico difetto caratteriale, pur concretamente non appaiano. ad un’osservazione oggettiva, elementi a conforto di tale idea . Ogni volta che qualcuno, ad esempio al lavoro, le rivolge una critica generica, essa sperimenterà un’emozione negativa: colpa, rabbia, spesso tristezza. Per evitare queste emozioni spiacevoli cercherà pertanto di non fare più errori, cercherà di contrastare quello specifico tratto caratteriale e starà molto attenta a non sbagliare e a portare a termine i suoi compiti in maniera perfetta. I comportamenti messi in atto ed i pensieri che li accompagnano determineranno nella persona però un elevato livello di stress, probabilmente una vera sensazione di eccessiva ansia, emozione che non favorisce certo la concentrazione e l’attenzione, una concreta trasformazione del proprio carattere per cui verosimilmente tenderà ad essere più distratta commettendo di conseguenza più errori. Nel prendere atto dei nuovi errori commessi, piccoli fallimenti nella propria condotta, penserà che la causa che li ha generati consista nel fatto di essere una persona poco capace e competente. Come anticipavamo, siamo partiti da una credenza su di sé come persona incompetente e attraverso tutta una serie di meccanismi e comportamenti (volti per altro apparentemente a contraddire tale credenza) siamo giunti a confermarla. È così che si instaurano dei veri e propri circoli viziosi dai quali può veramente diventare difficile uscire, sia a causa delle emozioni negative sperimentate, sia dal fatto che quando riteniamo che qualcosa sia vero non lo mettiamo più in discussione, con il classico “sono fatto così”.

Questi fenomeni sono stati studiati attraverso interessanti ricerche i cui risultati confermano la loro potenza ed i possibili effetti negativi sulle persone. Una di queste ricerche, condotta da Rosenthal nel 1974 ha consentito di individuare quello che è stato definito Effetto Pigmalione: in una scuola elementare vennero create due classi identiche di bambini, ma si disse alle maestre che dai test di intelligenza precedentemente somministrati, la classe A risultava essere composta di bambini più intelligenti e dotati e la classe B di bambini meno dotati. I risultati dello studio dimostrarono che a fine anno, non solo gli scolari inseriti nelle classe immaginata dei “migliori” vennero valutati più positivamente dalle insegnanti, ma che i bambini ebbero anche prestazioni migliori a prove oggettive, risultando quindi apparentemente più intelligenti!

Dallo studio si può presumere che le maestre, a partire dalle informazioni non veritiere, abbiano modificato i loro comportamenti nei confronti degli studenti, mostrandosi ad esempio più inclini ad incoraggiare e supportare i bambini ritenuti più dotati e meno quelli considerati meno dotati. Gli atteggiamenti e comportamenti delle insegnanti avrebbero a loro volta influenzato i comportamenti dei bambini i quali, ritenendo veritiere le informazioni provenienti dalle maestre, avrebbero reagito con comportamenti tali da confermare le loro credenze.

Nella pratica clinica, possiamo facilmente osservare come questi stessi meccanismi possano agire in qualunque contesto relazionale (nei rapporti genitori figli, in quelli sentimentali, amicali, lavorativi), ma anche sulle scelte individuali quali il percorso di studi, il lavoro, fino alla percezione della propria salute e del proprio modo di essere. In maniera macroscopica, sociologica si potrebbe dire, non vanno neanche trascurati gli effetti a livello sociale, poiché le credenze che abbiamo sugli altri, spesso veri e propri pregiudizi e stereotipi, per quanto ci aiutino a categorizzare e interpretare la realtà in maniera più veloce e semplice, ovvero economica, possono far sì che le persone "diventino" proprio come vengono rappresentate.

Singole esperienze negative vissute, definizioni negative di noi ricevute da persone significative, incidenti relazionali di cui ci sentiamo responsabili possono offrire una "etichetta" di noi stessi particolarmente negativa e rigida, che può produrre l’idea dell’inevitabilità di ciò che siamo e che potrebbe accaderci. Il pensiero crea realtà, verità apparentemente inconfutabili e che si auto perpetuano, pur oggettivamente si tratti di un errore logico. Ma è davvero quello che vogliamo per noi?

Molto spesso i nostri pazienti sono intrappolati tra un passato, interpretato, che li definisce e un futuro, inevitabile, che sembra non dare margini di trasformazione, trascurando l’essenza dell’essere nel presente e sempre capaci di autodeterminazione e di cambiamento.

In questo senso il nostro bagaglio di esperienze, la nostra storia personale e relazionale può condizionare la nostra definizione di noi stessi e il nostro futuro, attraverso il pensiero “tanto fallirò anche la prossima volta”. E così, l’idea di non essere competenti ci porta a creare, più o meno consapevolmente, le condizioni per il fallimento.

Basta, quindi, dire “Andrà tutto bene”? Affermare acriticamente “Saremo migliori di quello che siamo”?

Sicuramente è un passo utile per iniziare a riconoscere di voler che le cose vadano bene, ma è importante riconoscere di voler essere diversi da quello che siamo, ed è in questo che può essere efficace un percorso verso la piena consapevolezza di sé e del proprio potenziale. Acquisire la consapevolezza di meritare un’esistenza diversa è il primo passo. Cosa si vuol fare di tale consapevolezza?

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